Mi devo mettere in cuore in pace. Devo aspettare lo svolgersi delle pratiche assicurative e quindi mi butto a visitare Hobart che dista da New Norfolk un 45 minuti di autobus. Visito il centro di questa piccola città a più riprese dove tutto è concentrato in poche vie che racchiudono i musei, i centri commerciali, le sedi amministrative e politiche. Il tempo è sempre variabilissimo e in pochi minuti si passa dal sole alla pioggia per poi ritornare al sole.
La città è piena zeppa di monumenti, palazzi e chiese. Rimane una delle più ricche di edifici storici, essendo la seconda città fondata in Australia nel 1804.
Come in altre città Australiane il nuovo e l'antico si mescolano in un colorato, scintillante, quanto spesso sorprendente, collage di colori, di stili e forme. Tutto sembrerebbe apparentemente incongruente e rattoppato, come se parte della città avesse subito ricostruzioni e crolli continui. Tutto rimane però lineare come se si stesse rovistando nella scatola dei ricordi di ognuno di noi o, se vogliamo, nella soffitta della nonna o di un vecchio zio. Bauli pieni di cose antiche ma mescolati a oggetti comuni dove scoprire in ogni angolo qualcosa di sorprendente e unico. Molti scorci mi riportano alla mente altri luoghi e altri paesi e spesso mi sembra di essere altrove.
La gente, le persone di Hobart vanno di conseguenza e sono di un eterogeneo incredibile. Penso siano ancora più rilassate e informali della media australiana. Ognuno con il proprio personalissimo modo di essere, di vestire, di esporsi al mondo. Senza la minima difficoltà a mescolarsi agli altri apparendo fuori luogo, fuori posto. Nessuno fa caso a nessuno e, pure io con la mia protesi artificiale in bella mostra, non suscito sguardi curiosi. Tutto sembra normale e, l'appartenenza, non si manifesta nel formalismo verso la standardizzazione asfittica, ma verso l'espressione libera del proprio sentire.
Questa città, come buona parte delle grandi città australiane, si affaccia sul mare, su un porto e da li tutto arriva, da li tutto parte, da sempre.
Questa città è l'approdo per tutti, da ogni dove, da ogni tempo.
Questa città è come un caledoscopio naturale dove buttare l'occhio ed ammirare ad ogni rotazione qualcosa di diverso che mai si ripete.
Tutto si muove, prende forma e colore e non è mai uguale, non è mai ripetitivo. Tutto muta e ho sempre l'impressione che ognuna di queste persone sia comunque in procinto di partire. Ho sempre l'impressione che sia in attesa pigramente di imbarcarsi su una nave che fra poco li porterà altrove.
Mi sento pure io così, di passaggio, ma non perché sono in viaggio.
Più passa il tempo e più mi rendo conto di essere nomade, di essere in transito, di essere in continuo movimento, da sempre. Questo viaggio mi cambierà parecchio, più di quello che avevo pensato in precedenza. Sarà più complicato e difficile di quello che avevo pensato ma sarà incredibilmente fantastico, epico.
Quando rompi e superi certe barriere mentali e fisiche. Quando ti confronti e scontri con il diverso. Quando l'imprevisto e l'imprevedibile diventa la tua linfa, il tuo punto di forza, le cose cambiano. Non cambiano perché tu le vedi in modo diverso, cambiano perché tu finalmente accogli te stesso, gli altri e questo mondo, così come sono. Senza sforzo apparente e senza rendertene conto fai una cosa incredibile che prima non riuscivi a fare con tutte le tue forze e con tutto il tuo impegno. Stai cambiando tutto e tutto cambia insieme a te. Sei in viaggio, solchi le onde, approdi e riparti di nuovo, lasciando dietro un impercettibile segno, fosse solo la tua ombra tremolante. Questa avrà suscitato più scalpore, avrà cambiato gli animi e questo mondo più di quello che tu pensi. Avrà fatto più rumore e scosso la terra che un terremoto.